Gli obiettivi? Fermare lo spreco di tessuti eridare nuova vita ad almeno 300 kg di fibre di cashmere, riducendo del 90% l’uso di acqua e del 77% quello dell’energia
Almeno 300 kg di abiti usati in cashmere, da raccogliere su tutto il territorio italiano e a cui ridare nuova vita, grazie alle tradizionali tecniche di rigenerazione tessile del distretto pratese.
E’ questo l’ambizioso obiettivo di Rifò, la startup di Prato che sta provando a innovare l’industria della moda in chiave sostenibile attraverso il recupero dei tessuti.
L’ultima iniziativa lanciata è “Phoenix”, il progetto di raccolta di abiti usati che, a partire da questo dicembre e per i prossimi 10 mesi, punterà a coinvolgere i consumatori di tutta Italia nell’applicazione pratica e attiva del modello di economia circolare della startup, basato, appunto, sul recupero di fibre tessili in ottica di riparazione, rigenerazione ed eventuale produzione di nuovi capi.
Un processo virtuoso che consente di ridurre del 90% l’uso di acqua, del 77% quello dell’energia, del 90% i prodotti chimici, del 95% le emissioni di CO2 e del 100% l’uso di coloranti.
“Secondo alcune stime, l’industria della moda spreca globalmente circa un camion di tessuti al secondo. Con Phoenix vogliamo sensibilizzare i consumatori sull’importanza del recupero di abiti vecchi e dismessi che possono essere riparati, riutilizzati, trasformati e rigenerati, coinvolgendoli direttamente e in modo attivo e partecipe nel processo di recupero, dall’inizio alla fine”– spiega Niccolò Cipriani, founder di Rifò.“Leggere i numeri dello spreco fa sempre effetto, ma a volte si dimentica in fretta: vogliamo aggiungere alla pura ‘informazione’ anche l’emozione di poter far toccare con mano al consumatore l’abito riparato o addirittura un capo nuovo, dimostrando come il tessuto rigenerato mantenga la stessa qualità e morbidezza di quello originale”.
L’iniziativa, che già dal nome – “Phoenix” appunto, come il leggendario uccello capace di rinascere dalle proprie ceneri – chiarisce i suoi intenti, è tanto semplice quanto efficace: chiunque, su tutto il territorio nazionale, potrà spedire a Rifò – che si farà carico dei costi della spedizione – i propri capi usati in 100% lana cashmere che vuole riparare o rigenerare.
Una volta ricevuti gli abiti, l’azienda, ove possibile, li riparerà per poi rispedirli al mittente come nuovi, o, nel caso non sia possibile la riparazione, li “trasformerà” in nuovi capi d’abbigliamento, procedendo alla sfilacciatura e trasformando quindi gli scampoli di tessuto in nuovi indumenti.
In entrambi i casi, Rifò ricompensa il “donatore” con un buono del valore di 10 euro per l’acquisto di un nuovo capo della collezione Rifò (su www.rifo-lab.com).
Poche le limitazioni alla raccolta di Rifò: si accetta qualsiasi indumento, dai maglioni alle sciarpe fino ai calzini, e in qualsiasi condizione; che siano rotti, scuciti, tarmati o macchiati, tutti gli abiti possono essere oggetto della raccolta. Ad un’unica condizione però: che l’etichetta sia integra e indichi 100% cashmere. «Iniziamo dal cashmere, ma presto estenderemo la raccolta anche a lana e cotone. Purtroppo, non tutte le fibre tessili possono essere rigenerate. E’ il grosso limite dell’industria del fast fashion: i capi che contengono un mix di cotone e poliestere, ad esempio, sono essenzialmente non riciclabili, per via dei costi del processo di separazione dei materiali» – spiega ancora Niccolò Cipriani – «In questo senso, con l’iniziativa puntiamo non solo a coinvolgere attivamente il consumatore in un processo di economia circolare, ma anche di sensibilizzarlo a monte del tutto, rendendolo più consapevole già nel momento della scelta e dell’acquisto di un nuovo capo.»
I numeri del settore del riciclo tessile, in effetti, sono importanti, nonostante rivelino ancora alcune criticità: stando al Rapporto L’Italia del riciclo diramato nel 2017 da Fondazione per lo sviluppo sostenibile e FISE UNIRE, infatti, sono 133.000 le tonnellate di rifiuti tessili raccolte in Italia nel 2016, circa 2,2 kg procapite, di cui, però, solo il 29% destinate al riciclo, inteso come riutilizzo di materie prime seconde per l’industria tessile.
Fibre che, comunque, una volta sfilacciate, vengono spesso esportate all’estero per i processi di rifilatura. «Il grosso dei rifiuti tessili raccolti in Italia viene, di norma, spedito all’estero per i processi di riciclo dello sfilacciato e di rifilatura. Con Rifò proponiamo un modello inverso: ci occupiamo direttamente della raccolta di abiti usati sul tutto il territorio italiano, a cui integriamo fibre provenienti da Europa e Stati Uniti, e eseguiamo sfilacciatura e rifilatura a Prato, praticamente “a km0”» – spiega ancora Niccolò Cipriani, che conclude- «Il distretto pratese ha una lunghissima tradizione in materia di recupero di fibre tessili: gli abiti Rifò sono Made in Italy e prodotti con il metodo artigianale a “calata”, una speciale tipologia di produzione che garantisce risultati di pregio e minimo scarto di materiale, poiché permette di cucire i capi senza alcun genere di taglio».
“Phoenix”, che rimarrà attivo fino a settembre prossimo, è aperto alla partecipazione di tutti i consumatori in Italia, sia individualmente che come “punto di raccolta”: sul sito web di Rifò, infatti, chiunque – tra i privati e, presto, anche tra le aziende – può proporsi come “collettore” di abiti usati, contribuendo a velocizzare ed amplificare la portata del circuito di economia circolare attivato dalla startup.
Più info al link https://www.rifo-lab.com/diamo-un-valore-ai-vestiti-vecchi/
Fonti:
https://www.fondazionesvilupposostenibile.org/wpcontent/uploads/dlm_uploads/2017/12/Rapporto_Italia_del_riciclo_2017.pdf